Agenti: le indennità si prescrivono in 5 anni

Aggiornamento 14/06/2021

La Suprema Corte di Cassazione torna ad occuparsi, con questa recentissima pronuncia (sentenza 21 maggio 2021, n.14062), dei termini decadenziali e prescrizionali delle indennità di fine rapporto e di quella di mancato preavviso degli Agenti di Commercio.

La Corte di appello di Napoli, in parziale accoglimento del gravame dell’Agente di Commercio, aveva condannato la Preponente al pagamento, in favore del primo dell’indennità sostitutiva del preavviso ex articolo 1750 Codice Civile, ritenuto che il diritto al pagamento della stessa fosse soggetto al termine di prescrizione decennale e che tale termine decorresse dalla risoluzione del rapporto e dai successivi atti interruttivi contenenti richieste di pagamento.

Avverso tale sentenza la Proponente ricorreva per Cassazione deducendo la erroneità della decisione della corte di merito per plurimi connessi motivi, il primo dei quali volto ad accertare che sia all’indennità sostitutiva del preavviso ex articolo 1750 Codice Civile, che all’indennità ex articolo 1751 Codice Civile (nel caso di specie però non concessa), non dovesse essere applicato il termine di prescrizione ordinario decennale, ma quello “breve” quinquennale.

La Suprema Corte, accedendo alla tesi della ricorrente, ha affermato che “In caso di cessazione del rapporto di lavoro, le indennità spettanti sono assoggettate alla prescrizione quinquennale ex articolo 2948 n. 5 Codice Civile e non all’ordinario termine decennale, a prescindere dalla natura, retributiva o previdenziale, dell’indennità medesima, ovvero dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere, in ragione dell’esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall’eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti nel momento della chiusura del rapporto" (Cassazione n. 15798/2008).

È invero opportuno, ad avviso degli Ermellini, sottoporre a prescrizione breve i diritti del lavoratore che sopravvivano al rapporto di lavoro, in quanto nati nel momento della sua cessazione, e di evitare in tal modo le difficoltà probatorie derivanti dall’esercizio delle relative azioni troppo ritardate rispetto all’estinzione del rapporto sostanziale.

L’orientamento è stato di recente, e nei medesimi termini, ribadito da Cassazione n. 16139/2018, così da essere del tutto prevalente nella giurisprudenza della Suprema Corte e la sentenza in commento lo fa proprio integralmente, ribadendone la correttezza e la bontà.


Fonte: filodiretto.com

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