Compenso agente e riqualificazione del rapporto: sul Fisco l'onere della prova
Aggiornamento 14/12/2022
Accertamento sui compensi di un procacciatore d'affari e riqualificazione della natura del rapporto di lavoro Sentenza della Corte di giustizia tributaria di I grado di Ravenna
La Corte di giustizia tributaria di 1 grado di Ravenna ha stabilito che
è onere dell'Agenzia provare la natura subordinata del rapporto di lavoro in caso di accertamento sui redditi di un contribuente dichiarati invece come derivanti da un rapporto di agenzia.
Il caso riguardava un agente di commercio che ricorreva contro l'accertamento dell'Agenzia che, a seguito di una verifica su una azienda terza, aveva riqualificato i redditi derivanti dal rapporto di agenzia come invece legati a un rapporto di lavoro dipendente, con maggiore imposizione Irpef e relative addizionali.
Nel ricorso il contribuente lamentava che l'atto non chiariva su quali elementi l'Agenzia avesse basato tale riqualificazione del rapporto di lavoro e quindi delle somme, e lamentava inoltre la mancanza del verbale di accertamento emesso a carico dell'azienda, necessario per la sua difesa.
La Corte ricorda che l'attività di procacciatore d'affari o venditore si può svolgere sotto diverse forme giuridiche, che si distinguono per la diverse modalità di svolgimento concreto Richiamando la Cassazione, ricorda che per definire il rapporto di lavoro e i compensi che ne derivano diversamente da quanto dichiarato dal contribuente è necessario stabilire l'esistenza di specifici elementi definiti in dettaglio dall'articolo 2094 del codice civile
Secondo il richiamato e consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, infatti,
l'elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
Questi aspetti, afferma la Corte non sono stati sufficientemente provati in quanto gli elementi addotti nell'accertamento erano contraddittori e il solo fatto che il ricorrente disponesse di una postazione di lavoro riservata dove svolgere la propria attività, all'interno dell'azienda non costituisce elemento esaustivo per trarre le conclusioni definitive sulla natura del rapporto .
Si ricorda che
recentemente l’articolo 7 del Dlgs 546/92 è stato modificato rafforzando proprio l'obbligo cui è soggetta l'amministrazione finanziaria di provare in maniera esaustiva le proprie contestazioni nel corso del giudizio e obbligando di conseguenza il giudice ad annullare l’atto impositivo qualora la contestazione non venga adeguatamente motivata.
Fonte: fiscoetasse.com
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